Ci sono esperienze che non ti cambiano solo come professionista, ma anche come cittadino.
La mia partecipazione ai percorsi formativi DM66 – PNRR per l’innovazione della didattica mi ha messo in contatto con decine di insegnanti di scuola secondaria, persone che ogni giorno tengono insieme entusiasmo, responsabilità e mille incastri burocratici. A loro ho insegnato come usare l’Intelligenza Artificiale a scuola, ma nel farlo ho imparato, io per primo, moltissimo.
Insegnare l’uso dell’Intelligenza Artificiale in questo contesto e agli insegnanti è stato, in qualche misura, un piccolo grande viaggio nel mondo della scuola di oggi.
Non è stato un semplice trasferimento di competenze. È stato un confronto vero: sul presente della scuola, sul futuro dell’apprendimento, sul senso stesso dell’innovazione.
Ecco alcune riflessioni che mi porto dietro, e che penso vadano condivise.
1. L’Intelligenza Artificiale a scuola non accorcia solo il tempo: moltiplica i salti
Una cosa è chiara: la disparità di competenze tra i docenti è ancora molto marcata.
Ma – e questa è la vera novità – chi riesce a sbloccare l’uso dell’AI fa balzi in avanti enormi, anche senza una formazione tecnica alle spalle. Non è più questione di “un passettino alla volta”. In certi casi, l’Intelligenza Artificiale consente di saltare dieci scalini con un solo clic.
Questo può essere entusiasmante, ma anche destabilizzante, e rende ancora più urgente garantire formazione continua e accessibile per tutti, non solo per i più curiosi o i più fortunati.
2. I dati dei ragazzi non sono un dettaglio tecnico
Parlando di AI nelle scuole, si finisce spesso a discutere di prompt, modelli, potenzialità creative.
Ma ci stiamo dimenticando della questione più delicata di tutte: quella dei dati. Parliamo di studenti, spesso minorenni, che affidano involontariamente informazioni sensibili a piattaforme che non sempre sono chiare su dove finiscono le cose.
Il paradosso? Ce ne stavamo già dimenticando prima dell’AI, quando si condividevano dati, report e documenti senza misure minime di sicurezza. Oggi, con l’AI, la posta in gioco si alza. Ma non possiamo aspettare l’incidente per parlarne.
3. Il buon cuore non basta: servono strutture a servizio degli insegnanti
Lo dico con rispetto e gratitudine: i responsabili IT delle scuole fanno miracoli. Ma sono troppo pochi, troppo soli, troppo sottodimensionati.
E soprattutto: questa rivoluzione digitale non può pesare solo sul buon cuore e sul tempo libero degli insegnanti. Serve un sistema, servono ruoli chiari, serve il riconoscimento del fatto che l’innovazione è un lavoro, non un hobby post-riunione.
4. Gli insegnanti sono il filtro più prezioso dell’innovazione
In mezzo a tutto questo, ho visto una cosa bellissima: gli insegnanti sanno dare un’anima anche alla tecnologia.
Non la usano per sostituirsi, ma per amplificare. Non la subiscono, ma la interrogano.
E quando un docente scopre di poter usare l’AI per scrivere insieme ai ragazzi, per potenziare l’inclusione, per creare contenuti accessibili o stimolanti, nasce qualcosa di profondo. Un modo di trasmettere conoscenza che non è né analogico né digitale: è umano.
5. Questa la sapevamo già: con l’Intelligenza Artificiale si possono fare un sacco di cose interessanti
E sì, confermo: con l’AI a scuola si possono fare un sacco di cose decisamente interessanti.
Dalla generazione di simulazioni interattive alla creazione di quiz personalizzati, dalla sintesi dei contenuti per bisogni educativi speciali alla facilitazione della didattica laboratoriale.
D’altronde, formare gli insegnanti sull’uso dell’Intelligenza Artificiale a scuola non vuol dire solo spiegare i prompt, ma offrire uno sguardo completamente nuovo sull’educazione, pur con tutte le difficoltà quotidiane che affrontano tra burocrazie e tempi spesso insostenibili.
La tecnologia c’è. Le idee anche. Bisogna solo dare tempo, spazio e fiducia a chi è in prima linea ogni giorno.
Segnalo anche questo link del Ministero in cui si parla proprio di questi temi.