Negli ultimi anni si è parlato tanto di trasformazione digitale, ma raramente ci si è fermati a riflettere su chi accompagna davvero le persone e le imprese in questo percorso. E no, non parliamo di tecnici o di consulenti “usa e getta”, ma di figure capaci di fare da guida, da specchio e da cassa di risonanza nei momenti cruciali della crescita digitale: il Digital Coach. Il caos digitale e il bisogno di una guida Oggi un Digital Coach serve prima di tutto a rimettere ordine nel caos. In un mondo in cui ogni giorno nasce un nuovo tool, un nuovo algoritmo, un nuovo trend social, è facile sentirsi spaesati. Il Digital Coach non è (solo) un esperto di strumenti, ma è qualcuno che aiuta a capire cosa ha senso per te, per il tuo progetto, per i tuoi valori.E questo fa tutta la differenza. Strategia, etica e consapevolezza nella digitalizzazione A differenza di chi promette “strategie infallibili”, il Digital Coach lavora sulla consapevolezza. Ti accompagna nel definire obiettivi reali, sostenibili e coerenti. Perché la vera innovazione digitale oggi non si misura solo in KPI, ma nella capacità di restare umani mentre tutto intorno corre. Una guida digitale non impone soluzioni: ti affianca nel prendere decisioni informate, rispettose della tua identità e del tuo mercato. In un’epoca in cui il digitale è ovunque, serve qualcuno che ci aiuti a non perdere l’orientamento. Intelligenza Artificiale: strumento o sostituto? Il Digital Coach è anche il primo a mettere in discussione l’uso dell’Intelligenza Artificiale. Non si limita a “saper usare ChatGPT” o a implementare automazioni: ti aiuta a costruire un rapporto consapevole e strategico con questi strumenti. L’obiettivo non è delegare tutto all’AI, ma comprendere come sfruttarne il potenziale nel rispetto dell’identità aziendale, delle persone e dell’etica professionale. 📎 Per un approfondimento tecnico puoi consultare anche la AI Act dell’Unione Europea che regolamenta l’uso responsabile dell’IA. Per un Digital Coach, il fattore umano non è accessorio Il cuore del lavoro di un Digital Coach rimane il rapporto umano. L’ascolto, il dialogo, la capacità di fare domande scomode nel momento giusto. È una figura che ti aiuta a distinguere tra ciò che “fa trend” e ciò che serve davvero al tuo progetto. Che ti aiuta a rallentare, se serve. O a osare, quando è il momento giusto. Un buon Digital Coach è un alleato. Uno che cammina con te. Che sa quando accelerare, ma anche quando fermarsi a fare il punto. Che ti ricorda che la trasformazione digitale non è mai solo questione di tool, ma di visione, fiducia e direzione. Un Digital Coach, insomma, oggi serve a coltivare senso. Nei progetti, nei processi, nelle persone. Serve a rendere il digitale uno strumento al servizio della crescita e non il contrario. Serve a ricordarti che ogni tecnologia è potente, ma che tu resti il centro della scena. 👉 Vuoi scoprire se hai davvero bisogno di un Digital Coach? Parliamone e troviamo insieme la direzione più giusta per te.
Modelli di ChatGPT 2025: quali sono, a cosa servono e quando usarli
Parlare di modelli di ChatGPT nel 2025 è un po’ come parlare di automobili: ognuno ha i propri gusti ed esigenze, partendo dalla consapevolezza che per la maggior parte delle persone una solida Panda sarebbe più che sufficiente.Conoscere il modello giusto, in ogni caso, può fare la differenza laddove gli utilizzi siano più profondi, specialistici o esigenti. Se usi ChatGPT solo nella versione gratuita, per esempio, stai parlando con GPT-3.5, il modello più datato ancora disponibile. Va più che bene per la maggior parte delle applicazioni quotidiane: un testo da sistemare, una bozza di idea, un riassunto veloce. Ma appena le richieste diventano più complesse o più “sensibili”, cominci a vedere i limiti, soprattutto per il numero di ricerche approfondite che si possono fare nella versione, appunto, gratuita e accessibile a chiunque. Il salto si fa con GPT-4, accessibile tramite abbonamento (il famoso “ChatGPT Plus”). Qui le cose cambiano: la comprensione migliora, le risposte sono più precise, il tono è più coerente. Per chi lavora nel marketing, nella formazione, nella consulenza, GPT-4 è lo standard per un uso professionale e molto più frequente. Arriviamo poi a GPT-4o, anche detto Omni, il nuovo modello introdotto da OpenAI. È multimodale: capisce testo, immagini e voce. È più rapido, più creativo, più vicino al modo umano di ragionare. È anche quello che stai usando se hai attivato l’ultima versione del sistema. E c’è anche una variante più leggera, GPT-4o Mini, pensata per dispositivi meno potenti o app leggere.In parallelo, esistono altri modelli specifici della serie “o”, come o3 e o4-mini, ottimizzati per compiti che richiedono ragionamento strutturato: analisi, ricerca, contesti tecnici.Non è detto che servano a tutti, ma sapere che esistono può evitare di chiedere a GPT-3.5 di fare il lavoro di un analista finanziario. Ma insomma, quale modello ChatGPT devo usare? Come al solito, dipende da cosa ti serve.Qui ti rimando alla documentazione ufficiale di OpenAI ma… vogliamo fare un riassunto? Facciamolo. Tutti i modelli di ChatGPT 2025 GPT-3.5: la cara vecchia Panda (ma gratuita) È il modello predefinito per chi usa ChatGPT senza abbonamento. Funziona bene per molti dei compiti quotidiani: scrivere una mail, riassumere un testo, suggerire idee. È veloce e leggero, ma ha memoria corta (ricorda meno del contesto), non gestisce bene le istruzioni complesse o lunghe, e soprattutto non ha accesso a funzioni avanzate come l’analisi di immagini o file. – A chi serve: a chi è agli inizi o ha bisogno solo di assistenza testuale leggera.– Limiti principali: poca coerenza nei task lunghi, ragionamento a volte superficiale. GPT-4 (standard): il professionista affidabile È il modello incluso in ChatGPT Plus (23 euro/mese), ed è ancora oggi una delle opzioni più solide per uso aziendale, strategico, didattico. È più preciso, più coerente, e gestisce con intelligenza consegne articolate, scrittura su tono specifico, dialoghi più realistici. – A chi serve: a chi crea contenuti, elabora piani, fa formazione, ricerca o consulenza.– Punti forti: ottimo ragionamento logico, scrittura fluida, buona personalizzazione.– Limiti: non è multimodale (non legge immagini o voce). GPT-4o (“Omni”): il nuovo cervello multitasking Qui cambia tutto. GPT-4o è il modello più avanzato di OpenAI (lanciato maggio 2024). È multimodale, cioè capisce e genera testo, immagini, audio e codice. È più veloce del GPT-4 standard, costa meno in termini computazionali ed è anche più “umano” nelle risposte. – A chi serve: a chi lavora con contenuti visivi, con dati da analizzare o ha bisogno di un assistente più versatile.– Funzionalità chiave: upload di immagini, analisi documenti PDF, generazione voce, conversazioni naturali, interfacce dinamiche.– Punti forti: comprensione contestuale molto avanzata, gestione file, tono flessibile, ragionamento migliorato. GPT-4o Mini e altri modelli “o” (come o3, o4-mini) Queste sono varianti ottimizzate per dispositivi mobili o software embedded. Hanno performance simili a GPT-4o ma con consumo di risorse molto più basso. Ideali per integrazioni tecniche o app aziendali. – A chi servono: sviluppatori, startup, progetti integrati (CRM, chatbot, app educative).– Punti forti: velocità, efficienza, adatti a device a bassa potenza.– Limiti: non sempre aggiornati o disponibili per uso pubblico diretto. Vuoi andare oltre con la tua Impresa o attività? Perché non mi contatti per una consulenza o una formazione?
Cosa ho imparato insegnando Intelligenza Artificiale ai docenti
Ci sono esperienze che non ti cambiano solo come professionista, ma anche come cittadino.La mia partecipazione ai percorsi formativi DM66 – PNRR per l’innovazione della didattica mi ha messo in contatto con decine di insegnanti di scuola secondaria, persone che ogni giorno tengono insieme entusiasmo, responsabilità e mille incastri burocratici. A loro ho insegnato come usare l’Intelligenza Artificiale a scuola, ma nel farlo ho imparato, io per primo, moltissimo. Insegnare l’uso dell’Intelligenza Artificiale in questo contesto e agli insegnanti è stato, in qualche misura, un piccolo grande viaggio nel mondo della scuola di oggi. Non è stato un semplice trasferimento di competenze. È stato un confronto vero: sul presente della scuola, sul futuro dell’apprendimento, sul senso stesso dell’innovazione.Ecco alcune riflessioni che mi porto dietro, e che penso vadano condivise. 1. L’Intelligenza Artificiale a scuola non accorcia solo il tempo: moltiplica i salti Una cosa è chiara: la disparità di competenze tra i docenti è ancora molto marcata.Ma – e questa è la vera novità – chi riesce a sbloccare l’uso dell’AI fa balzi in avanti enormi, anche senza una formazione tecnica alle spalle. Non è più questione di “un passettino alla volta”. In certi casi, l’Intelligenza Artificiale consente di saltare dieci scalini con un solo clic.Questo può essere entusiasmante, ma anche destabilizzante, e rende ancora più urgente garantire formazione continua e accessibile per tutti, non solo per i più curiosi o i più fortunati. 2. I dati dei ragazzi non sono un dettaglio tecnico Parlando di AI nelle scuole, si finisce spesso a discutere di prompt, modelli, potenzialità creative.Ma ci stiamo dimenticando della questione più delicata di tutte: quella dei dati. Parliamo di studenti, spesso minorenni, che affidano involontariamente informazioni sensibili a piattaforme che non sempre sono chiare su dove finiscono le cose.Il paradosso? Ce ne stavamo già dimenticando prima dell’AI, quando si condividevano dati, report e documenti senza misure minime di sicurezza. Oggi, con l’AI, la posta in gioco si alza. Ma non possiamo aspettare l’incidente per parlarne. 3. Il buon cuore non basta: servono strutture a servizio degli insegnanti Lo dico con rispetto e gratitudine: i responsabili IT delle scuole fanno miracoli. Ma sono troppo pochi, troppo soli, troppo sottodimensionati.E soprattutto: questa rivoluzione digitale non può pesare solo sul buon cuore e sul tempo libero degli insegnanti. Serve un sistema, servono ruoli chiari, serve il riconoscimento del fatto che l’innovazione è un lavoro, non un hobby post-riunione. 4. Gli insegnanti sono il filtro più prezioso dell’innovazione In mezzo a tutto questo, ho visto una cosa bellissima: gli insegnanti sanno dare un’anima anche alla tecnologia.Non la usano per sostituirsi, ma per amplificare. Non la subiscono, ma la interrogano.E quando un docente scopre di poter usare l’AI per scrivere insieme ai ragazzi, per potenziare l’inclusione, per creare contenuti accessibili o stimolanti, nasce qualcosa di profondo. Un modo di trasmettere conoscenza che non è né analogico né digitale: è umano. 5. Questa la sapevamo già: con l’Intelligenza Artificiale si possono fare un sacco di cose interessanti E sì, confermo: con l’AI a scuola si possono fare un sacco di cose decisamente interessanti.Dalla generazione di simulazioni interattive alla creazione di quiz personalizzati, dalla sintesi dei contenuti per bisogni educativi speciali alla facilitazione della didattica laboratoriale. D’altronde, formare gli insegnanti sull’uso dell’Intelligenza Artificiale a scuola non vuol dire solo spiegare i prompt, ma offrire uno sguardo completamente nuovo sull’educazione, pur con tutte le difficoltà quotidiane che affrontano tra burocrazie e tempi spesso insostenibili.La tecnologia c’è. Le idee anche. Bisogna solo dare tempo, spazio e fiducia a chi è in prima linea ogni giorno. Segnalo anche questo link del Ministero in cui si parla proprio di questi temi.
L’Intelligenza Artificiale è il passato (no, non è vero)
Spesso ci sentiamo dire che il copywriting è morto, che la SEO non serve più, che le email marketing sono spam, che i social non convertono, che il blog è roba da boomer. Beh, era l’ora che qualcuno dicesse anche: “l’Intelligenza Artificiale è una moda passeggera”.E invece no. Non è vero. Anzi. L’Intelligenza Artificiale e la trasformazione digitale delle imprese sono il presente, e stanno riscrivendo processi, ruoli, tempi e linguaggi. L’AI è già qui: scrive, analizza, suggerisce, ottimizza. Dalla gestione dei dati al customer care, dal marketing alla produzione, sta cambiando il modo in cui le imprese lavorano, decidono, comunicano. Ma c’è una differenza enorme tra usare un tool per moda e saperlo usare con consapevolezza. E qui entra in gioco la formazione. Formarsi non è un vezzo, è una difesa strategica.Un team formato, curioso e capace di esplorare il mondo dell’AI senza paura, è un team libero. Libero di non dipendere da fornitori esterni per ogni microesigenza. Libero di testare strumenti, ottimizzare processi, prendere decisioni informate. Non servono dieci ingegneri, ma serve la mentalità giusta: quella che guarda a ogni tecnologia come a una possibilità da valutare, non come a una scatola chiusa da subire. Curiosità e competenza sono il nuovo capitale.Non si tratta solo di imparare a usare ChatGPT o Midjourney. Si tratta di capire quando usarli, perché e a che scopo. E poi come: quali flussi, quali modalità. E in quale punto della catena è fondamentale il controllo umano (che è fondamentale, sia chiaro). La formazione serve a questo: a creare cultura. E una cultura aziendale pronta a dialogare con l’AI è una cultura che non rincorre le novità, ma le intercetta. Prima degli altri.In un percorso di Intelligenza Artificiale e trasformazione digitale delle imprese, serve qualcuno che sappia fare da ponte tra strumenti e persone. Restare al passo non è correre: è capire dove andare.La tecnologia evolve, le buzzword passano. Ma un’impresa capace di interrogarsi e aggiornarsi regolarmente, forma dopo forma, sarà sempre un passo avanti. Perché non delega la propria crescita a nessuno. La guida da sé.
A cosa serve un Innovation Manager nel 2025? (Spoiler: non a installare Excel)
Cominciamo dalle definizioni, banali ma utili.L’Innovation Manager un professionista trasversale, con competenze in management, digitale, sostenibilità e strategia d’impresa, capace di guidare aziende e organizzazioni nei percorsi di innovazione strutturata. Non si occupa solo di tecnologia: lavora su processi, cultura aziendale, flussi interni, cambiamento organizzativo. In un mondo in cui tutto cambia più in fretta delle slide, l’Innovation Manager è quello che fa da ponte tra le idee e l’implementazione, tra i bandi ricevuti e le azioni reali, tra la voglia di innovare e la paura di sbagliare.Insomma, serve a evitare che l’innovazione aziendale resti una bella parola da convegno. Ma chiariamo subito un punto: non viene a installarti l’Intelligenza Artificiale sul bidet di casa.L’Innovation Manager serve perché aiuta l’impresa a farsi domande scomode (ma necessarie) e poi costruisce, insieme, le risposte perché questa cresca davvero. Tre casi, puramente esemplificativi: Conclusione (senza effetto wow)Nel 2025, l’Innovation Manager non è l’ennesimo consulente motivazionale.È una figura professionale strategica che aiuta l’impresa a innovare in modo sostenibile, concreto e misurabile.Un ruolo che lavora nel mezzo: tra idee e realtà, tra sogni e strumenti, tra visione e operatività. Che poi è il senso di tutto, no?
Facebook è depresso. Ma serve ancora.
Facebook è in crisi. Non tanto nei bilanci — Meta ha registrato 42 miliardi di dollari di entrate nel primo trimestre del 2025, con un aumento del 16% rispetto all’anno precedente — quanto nell’immaginario collettivo. Per molti, Facebook è diventato il “social dei boomer”, un luogo dove si condividono meme datati e si litiga nei gruppi di quartiere. Le nuove generazioni preferiscono piattaforme come TikTok o Instagram, lasciando Facebook a un pubblico più adulto. Ma c’è un altro aspetto più profondo: l’impatto sulla salute mentale. Studi hanno evidenziato come l’uso eccessivo dei social media, Facebook incluso, possa contribuire a sintomi di depressione, ansia e bassa autostima, soprattutto tra gli adolescenti . Eppure, nonostante tutto, Facebook continua a essere uno strumento utile. Per le aziende, rappresenta una piattaforma efficace per raggiungere il proprio pubblico, con strumenti pubblicitari avanzati e una base utenti vasta e diversificata .Sprout Social Inoltre, per molte comunità, Facebook rimane un punto di riferimento per organizzare eventi, condividere informazioni locali e mantenere i contatti. La sua capacità di creare e mantenere connessioni sociali è ancora rilevante, soprattutto in un’epoca in cui l’isolamento è una realtà per molti. In conclusione, Facebook sta attraversando una fase di trasformazione. Mentre affronta sfide legate alla percezione pubblica e all’impatto sulla salute mentale, continua a offrire strumenti preziosi per comunicare, informare e connettere. Forse non è più il social network dominante di un tempo, ma ha ancora un ruolo significativo da svolgere. Come al solito, il punto è analizzare la complessità. E nella complessità di risposte secche ce ne sono pochissime. L’analisi e il pensiero, invece, sono essenziali.
CyberTrials: quando la cybersicurezza parla al femminile (e con entusiasmo)
Il 10 gennaio 2025, all’Istituto Einaudi di Pistoia, si è svolto CyberTrials – la cybersicurezza è un gioco da ragazze, un evento che abbiamo fortemente voluto come associazione Vento e Vertigine, di cui sono Presidente, e che ha rappresentato un momento importante di formazione, confronto e crescita. CyberTrials nasce da una sinergia virtuosa tra Cybersecurity National Lab, Scuola IMT Alti Studi Lucca e Regione Toscana, ed è arrivato a Pistoia grazie all’impegno di tante persone che credono nella formazione digitale, nella cittadinanza attiva e nella parità di accesso alle opportunità.La partecipazione è stata ampia e sentita, con studentesse protagoniste assolute di un’iniziativa che ha messo al centro temi complessi come la cybersecurity, l’etica digitale, la protezione dei dati e il gap di genere nelle discipline STEM. Dopo un’introduzione teorica condotta da esperti del settore, in cui si è parlato di sicurezza online, social network, tecniche di OSINT e difesa personale dai rischi del digitale, è arrivato il momento del gioco. Letteralmente. Le partecipanti sono state coinvolte in una simulazione a squadre, progettata per attivare capacità di analisi, problem solving e strategia: tutte abilità fondamentali tanto nella sicurezza informatica quanto nella vita. Perché cybersecurity e STEM devono parlare anche (e soprattutto) alle ragazze? Viviamo in un contesto in cui la cybersicurezza è un’infrastruttura invisibile, ma indispensabile. Proteggere i dati, prevenire le minacce, riconoscere le truffe online, difendere i propri dispositivi: sono competenze trasversali, non più riservate agli “addetti ai lavori”. Eppure, sono ancora troppo poche le ragazze che si avvicinano a questi mondi con fiducia e continuità. CyberTrials è stato anche questo: una sfida al pregiudizio silenzioso che spesso accompagna le materie tecnico-scientifiche. Un modo per dire che le ragazze non solo possono partecipare, ma possono guidare la trasformazione digitale. Con creatività, logica, visione, empatia. La formazione come leva culturale Quello che ci ha colpito di più è stato l’entusiasmo sincero, l’energia che si è creata, la voglia di mettersi in gioco. Ed è proprio questo il senso del nostro impegno con Vento e Vertigine: creare spazi di crescita libera e critica, in cui i temi dell’educazione civica digitale, della legalità e dell’innovazione non siano nozioni, ma esperienze. Perché formare alla cybersecurity oggi non è solo proteggere le reti: è proteggere le persone. Un enorme grazie va all’Istituto Einaudi per l’ospitalità, alle docenti che hanno sostenuto il progetto, e a tutte le partecipanti che ci hanno ricordato quanto sia bello vedere la scuola dialogare con il futuro. Un bel successo, sì. Ma anche un’utile osmosi tra lavoro e passione.
A Pistoia con Nicola Gratteri e Antonio Nicaso
Certe giornate lasciano il segno. L’8 dicembre 2023, Pistoia ha vissuto un momento di quelli che non si dimenticano facilmente: l’incontro con Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, organizzato dall’Associazione di cui sono Presidente, Vento e Vertigine APS, è stato più di un evento. È stato un atto collettivo di educazione alla legalità. Il titolo era chiaro, quasi brutale nella sua sincerità: “La mafia fa schifo”. Nessun eufemismo, nessun filtro istituzionale. Solo parole vere, pronunciate davanti a quasi 500 studenti la mattina, oltre 300 persone nel pomeriggio, più di 6.000 visualizzazioni online in diretta. Numeri importanti, sì. Ma i numeri non raccontano tutto. Non raccontano l’ascolto attento negli occhi dei ragazzi, la tensione emotiva in sala, il silenzio rispettoso, la voglia di capire, di farsi domande. Gratteri e Nicaso non sono soltanto due nomi noti nel contrasto alle mafie. Sono due voci coraggiose che da anni portano avanti un lavoro difficile, scomodo, necessario. A Pistoia hanno presentato il libro Il Grifone (Mondadori), ma soprattutto hanno parlato di mafie che cambiano, si digitalizzano, si muovono nei grigi delle economie e delle piattaforme. Mafie che si fanno sistema, e che proprio per questo richiedono cittadini più attrezzati culturalmente e digitalmente. È qui che entra in gioco il nostro impegno come associazione. Vento e Vertigine lavora ogni giorno per diffondere una cultura della legalità, ma anche della cittadinanza digitale consapevole. Perché oggi combattere le mafie significa anche saper riconoscere le dinamiche online, evitare la disinformazione, proteggere i propri dati, sapere come funzionano i meccanismi invisibili del potere digitale. La mafia, oggi, non è più solo coppola e lupara: è anche algoritmo e riciclaggio via fintech. E poi, soprattutto, ci sono loro: gli studenti. Le nuove generazioni. Quelle che più spesso sentiamo etichettare come disinteressate o passive. Invece no: erano lì, attenti, partecipi, pieni di domande vere e voglia di capire. E questo, forse, è stato il regalo più grande della giornata. Un ringraziamento sincero va a chi ha reso possibile tutto questo: le scuole coinvolte, le istituzioni che ci hanno supportato, gli sponsor, i tecnici, chi ha promosso l’evento online e chi ci ha dato una mano anche solo con una parola. Un pezzetto di bellezza e consapevolezza che rimarrà nella memoria del territorio. Perché l’antimafia non è una celebrazione. È formazione, cultura, responsabilità. E anche stavolta, ne siamo convinti: abbiamo seminato qualcosa di buono.